Nell’attuale momento di profonda carenza occupazionale che sta attraversanto il Sistema Sanitario Nazionale accade sovente che agli operatori venga richiesto di rendersi reperibili per interi turni di lavoro.
Con la sentenza n. 21934 del 21 luglio 2023 la Corte di Cassazione ha imposto un importante limite alla prassi delle reperibilità.
Con tale pronuncia gli Ermellini hanno riconosciuto alla richiesta abnorme di reperibilità la natura di violazione del diritto al riposo e alla personalità dell’operatore sanitario, come tale risarcibile senza necessità che il lavoratore formuli allegazioni specifiche nella propria domanda, se non quella relativa al numero di “turni” di reperibilità richiesti dall’Azienda.
Il riposo nel suo significato più pieno e completo, secondo la Corte, vuol dire allontanamento anche mentale dalla necessità di mantenersi a disposizione del datore di lavoro; solo così sono rispettati i principi costituzionali (artt. 2, 35 comma I e principi sottesi all’art. 36, commi II e II Cost.), comunitarie (Direttiva 2003/88/CE) ed internazionali (Convenzione OIL n. 1/2019) che tutelano l’individuo dall’ingerenza illecita di altri nella propria sfera giuridica individuale.
Sono le condizioni di manifestazione della mancata fruizione piena dei riposi previsti a far sorgere il diritto al risarcimento in ragione del carattere usurante e della lesione della personalità morale del lavoratore, che deriva dall’impedimento al ristoro e alla conduzione di una vita compatibile con gli impegni lavorativi.
Oltre che nei casi in cui all’operatore sanitario sia negato il riposo previsto da apposite norme di legge, è altresì illegittimo per la Cassazione il mancato riconoscimento del riposo attraverso l’imposizione della reperibilità laddove quantitativamente ecceda oltremisura le previsioni contrattuali, legittimando per l’operatore sanitario il diritto al risarcimento di un danno tanto più grave e significativo quanto più protrattosi nel tempo.
Il superamento significativo dei dieci turni di reperibilità ammessi per i medici e dei sei previsti per i restanti operatori sanitari dai CCNL di categoria, che di regola costituiscono cifra non vincolante per le Aziende, fonda l’inadempimento datoriale laddove determini un’interferenza nella vita privata del lavoratore tale da provocare un pregiudizio del diritto al riposo.
Ai fini del riconoscimento del diritto al risarcimento è irrilevante che il lavoratore si sia opposto o meno alle richieste di prestazione della disponibilità: la tutela dei diritti personalissimi interessati nega all’eventuale consenso del danneggiato la natura di esimente per la responsabilità del datore di lavoro.
Assume carattere dirimente il numero di prestazioni in più richieste al lavoratore, che diventa giuridicamente rilevante laddove sia uguale a quello già previsto di regola dal contratto collettivo.
La sentenza, altresì, ammette la convivenza del danno “da reperibilità abnorme” con ulteriori danni-conseguenza eventualmente subiti dall’operatore sanitario, come quello alla salute, entrambi risarcibili secondo i criteri propri di ogni singola voce di danno. AD Studio Associato da anni affianca gli operatori sanitari sia stagiudizialmente che giudizialmente in ogni campo del diritto sanitario, e può essere la realtà legale idonea ad accompagnare il professionista nello svolgimento della propria professione; per una consulenza contattaci.